La storia di Francesco Parisi, il brigante di Giovi, non è una vicenda riferibile al fenomeno del “Brigantaggio” conseguenza della protesta dei “cafoni” e dei “delusi”, contro le violenze perpetrate in nome dell’unità nazionale, caratterizzata dallo stato d’animo di resistenza e avversione al nuovo regime unitario, che costituì il fondamento psicologico di massa della combattività e della violenza, delle successive “reazioni” e del conseguente sviluppo della protesta armata. La storia di Francesco Parisi è più simile al brigantaggio che si estese, anche nelle nostre zone, durante il dominio spagnolo, che non era dovuto a spinte idealistiche, ma alla miseria, al desiderio di vendetta, di rivendicazione dell’onore offeso, allo spirito d’avventura e non di rado alla volontà di mortificare i potenti a vantaggio della povera gente. In altri termini, il brigantaggio che fù la rivolta di contadini affamati e perseguitati, le cui gesti sono state decantate in poemi e drammi di poeti, scrittori e cantastorie. La vicenda giudiziaria di Francesco Parisi prende origine dall’arresto dei componenti di una pericolosa banda di malfattori, che dal 1901 al 1904 avevano vessato le popolazioni della periferia di Salerno e quelle dei comuni vicini, con furti, rapine a mano armata e violenze di ogni genere. Arrivando a sparare e ferire a Giovi, il 1 aprile 1904, una povera donna, tale Carolina Zoccoli, che li aveva sorpresi mentre le stavano portando via il pane lasciato nel forno a biscottare; a uccidere a San Cipriano Vicentino, nella notte tra il 25 e 26 aprile 1904, tale Pasquale Bozza, per portargli via dalla borsa le 15 lire che possedeva; e a sostenere, alla Laura di Salerno, il 17 maggio 1904, un conflitto a fuoco con un gruppo di Carabinieri della stazione di Pastena, che li avevano intercettati al ritorno da una scorreria nelle campagne di Pontecagnano. Nell’autunno del 1904 furono arrestate 7 persone accusate di fare parte di questo sodalizio criminoso, fra i quali figurava anche Francesco Parisi, il padre Francescantonio e il fratello Gioacchino. Francesco Parisi dopo un breve periodo di carcerazione preventiva, fu rimesso in libertà provvisoria in attesa di giudizio, mentre i suoi congiunti e gli altri accusati rimasero in carcere. Il giorno 5 aprile 1906, alle ore 18,30, la Corte Giudiziaria del Circolo d’Assise di Salerno condannava i 7 imputati a pene che andavano dai due anni di reclusione per Francesco Parisi, per la sola associazione a delinquere, ai trent’anni di reclusione per suo fratello Gioacchino e all’ergastolo per tale Fiore Di Giacomo, ritenuti gli assassini di Bozza. Francesco Parisi non era in aula quel giorno e, dopo, si sottrasse alla cattura, del resto, sia in sede istruttoria che durante il processo, si era sempre dichiarato innocente, affermando di non avere mai fatto parte di quel sodalizio criminoso e che, al tempo dei misfatti, si trovava a Taranto (dove era rimasto precisamente dal 30 marzo 1902 al 15 settembre 1904) a svolgere il servizio militare. Il giovane Parisi riteneva assolutamente ingiusto scontare due anni di carcere senza colpe e, allora, si diede alla macchia e, per tutti, divenne il brigante Parisi. La gente seguiva passo passo le sue vicende e molti lo proteggevano e gioivano quando, in un modo quasi sempre rocambolesco, riusciva a sfuggire alla cattura. Francesco Parisi era nato a Giovi il 26 dicembre 1881 da Francescantonio e Antonia Longo (o Luongo). Il padre, che all’epoca della sua nascita era sposato con un’altra donna, lo riconobbe nel 1887, insieme agli altri 4 figli che aveva avuto da Antonia Longo. Francesco era un uomo molto alto per quei tempi (185 cm), di bella presenza e dotato di una forza fisica non comune. Dongiovanni, era amante della buona tavola e gran bevitore. Lesto di mani e di lingua, un po’ spaccone, sempre spavaldo, quotidianamente alla ricerca della maniera per sbarcare il lunario. Sicuramente un po’ ladro, era abilissimo nel passare, anche per conto terzi, le barriere daziarie, senza sottostare al pagamento delle tariffe impositive. Prima della condanna per associazione a delinquere, il Parisi annoverava due soli precedenti, di poco conto, per lesioni personali e porto di fucile senza licenza. SENTITE BONA GENTE PE CHESTA CANZONE IJE SENZA NIENDE FACEV’’O SURDATE Ogni strofa viene sempre seguita da un assillante ritornello. CU ACQUA E CU BBIENDO CORRO VOSCHI Durante la latitanza, era intenzione del Parisi di farsi vendetta, di punire coloro che avevano testimoniato il falso al processo e quelli che, a suo avviso, collaboravano con i Carabinieri per facilitarne la cattura: A DDUJE ANNE ‘E CARCERE FUJE CUNDANNATO Il Parisi non aveva nessuna fiducia nella magistratura che riteneva prevenuta nei suoi confronti e corrotta. Al riguardo, compose due strofe, la prima fu pubblicata da “Il Mattino” del 27-28 marzo 1907: PRUBBRECO MINISTERIO E PRESERENDE SO’ GIA’ SEI MISE CHE GIRO P’’A MUNTAGNA Tra i vari testimoni a carico del Parisi vi furono anche il brigadiere Cosentino e il carabiniere Bernardino Nuccetelli, quest’ultimo era rimasto ferito nel conflitto a fuoco alla Laura, del 17 maggio 1904. Questi due militari erano sicuramente i più attivi nel dare la caccia al latitante e, da parte sua, il Parisi li odiava a punto da minacciarli di morte: O’ BRIGADIERE ‘E PASTENA E’ ‘NA CAROGNA A mano a mano che la latitanza si prolungava, la storia del brigante Parisi si arricchiva di nuovi episodi, in parte riportati nelle sue poesie. Intanto, la gente tesseva aloni di leggende intorno al fuggiasco e lo proteggeva, lo rifocillava (nascondendogli il cibo sotto alle stoppe), lo avvertiva di tutti i movimenti delle Forze dell’Ordine. Dovunque Parisi trovava segnali di avvertimento: bastava un panno alla finestra, in una o un’altra posizione, per comunicargli che la via era libera o che c’erano in zona i gendarmi e, quindi, consiglio di fuga. SURDATE E CARABINIERI TRAVESTITI LE ‘NFOCO O’ MANTIELLO Come tutti i fuggiaschi che si rispettino e che si fanno rispettare, anche Francesco Parisi si eresse, talvolta, a protettore degli inermi. Narrava, a riguardo, il dott. Pasquale Andria, a quei tempi, medico condotto della zona orientale di Salerno, che, qualche volta, il Parisi saliva in serpa alla sua carrozza e lo scortava fino a dove egli si recava per portare le sue cure, percorrendo quelle allora insicure strade, dove ancora operavano gruppi di malfattori che eseguivano ruberie e delitti di ogni genere, che, è quasi inutile dire, venivano tutti attribuiti al Parisi. CHE DISPIACERE C’AGGIO AVUTO A seguito del protrarsi della latitanza del Parisi e dei tanti insuccessi riportati dai carabinieri nel tentativo di catturarlo, il Comando provinciale dei Carabinieri dispose di inviare a Giovi un sottufficiale che non fosse conosciuto dal brigante e che avesse acume investigativo e notevole forza fisica, per fronteggiare anche su quel piano il ricercato. La scelta cadde sul vice brigadiere Giovanni Chiaberti, originario di Piea, in provincia di Asti, in forza alla Stazione dei carabinieri di Acerra. E, fù così che, la sera del 13 febbraio del 1907, verso le ore 20, il vice brigadiere Chiaberti, praticamente al suo primo tentativo di catturare Parisi, lo intercettò in località Creta, dove il ricercato aveva partecipato ad una festa di battesimo… Cosa sia veramente successo quella sera non si è mai saputo con certezza… Fatto sta che ne nacque un conflitto a fuoco e proprio il brigadiere venne colpito a morte, mentre il Parisi riuscì ancora una volta a fuggire. CHE DISPIACERE C’AGGIO AVUTO Strano pentimento quello del Parisi, che mentre si dispiace del delitto commesso, insiste nei suoi propositi vendicativi nei confronti del brigadiere Cosentino. MO C’’A TAGLIOLA M’HANNO MISA Di lì a poco Francesco Parisi, letteralmente sconvolto e a cui la situazione era letteralmente sfuggita di mano, diede seguito alle proposte vendette, sparando da distanza ravvicinata, colpendolo al capo e alle spalle, tale Raffaele Crucito, sospettato di “darsi da fare” per intascare la taglia. Il Crucito, in seguito, morirà per le gravi ferite riportate. CU NIENTE DUJ’ANNE ‘E CARCERE MA IJE L’AGGIO RITTO Pensò di espatriare, ma aveva bisogno di soldi, di tanti soldi; allora mandò la sua compagna Rosa Mogavero dall’avvocato Giulio Galdi, un ricco possidente di San Mango Piemonte, con una richiesta estorsiva di 200 lire. L’avvocato Galdi prese tempo per consegnare i soldi e informò i Carabinieri della Stazione di San Mango, che il giorno 25 marzo trassero in arresto la Mogavero, quando ella si ripresentò dall’avvocato Galdi per riscuotere la tangente. PIETRO DE ROSA |