Eremo San Magno

L’eremo di San Magno è una vecchia costruzione incastonata nella rocciosa rupe della cima del monte San Magno. Al suo interno racchiude la grotta (con un’apertura larga circa 14 metri e alta quasi 9 metri, per una profondità non superiore a 13 metri) nella quale, come tradizione vuole, si sia fermato San Magno, Vescovo di Trani, nel corso del suo lungo pellegrinaggio che lo portò, tra il 220 e 230 d.C.,  da Trani a Roma. Al di sopra dell’eremo c’è il Castello Merola (della merla).  Il castello nacque come torre di avvistamento e difesa, ma per alcuni anni fu un convento francescano conventuale. Da ciò nacque la diceria popolare sanmanghese che c’era un fratello (San Magno) con sette sorelle (le Madonne di Tubenna, Stella, Incoronata, Montevergine, etc.).

articolo pubblicato su “Il Salernitano”, nell’agosto 2000

Secondo l’antica tradizione, Magno si era fermato nella grotta sul Monte della Selva (monte che sovrasta il piccolo centro di San Mango e che oggi si denomina monte San Magno), dove era stato accolto fraternamente dagli abitanti del piccolo nucleo sottostante. Quel luogo divenne subito caro ai fedeli, memori di quanto avevano appreso e soprattutto toccati dalla grazia di quel sant’uomo. Esso assunse così un nuovo e più grande significato e, da posto di ricovero quale era prima, assurse a centro di fede e meta di continui pellegrinaggi, soprattutto dopo che il Santo era riapparso loro nelle vesti pontificali, già arricchito dalla vista dell’Altissimo e dalla palma del martirio ricevuto nel Campo Dimitriano, pregandoli di rendere quel luogo sacro nei secoli futuri.

Nel corso dei secoli successivi quell’antica e informe caverna, posta quasi a metà dell’alto costone roccioso che volge il suo sguardo a Occidente, cominciò a trasformarsi fino a diventare una vera chiesa, sia pure rupestre. Di certo tra la fine del X-XI secolo la chiesa-grotta doveva già essere molto frequentata, anche per la costruzione della non lontana rocca (oggi Castel Merola o del Merlo) edificata sulla vetta dello stesso monte quale luogo di avvistamento, ma anche di rifugio, come testimonia la presenza di un’ampia cisterna per l’acqua a pochi metri dall’unica torre circolare. La storia ci dà conferma scritta in atti di epoca molto più tarda, nel 1278 (Salerno sacra. Ricerche storiche) prima, e nel 1309 (Rationes Decimarum Italiae) poi. Nel 1542, non si sa se per volere del Barone o su richiesta del popolo, un ignoto artista dipinse sulla roccia, posta sull’altare, l’effige del Santo Vescovo, con il complesso abbigliamento ecclesiale, che purtroppo appare deteriorata nei contorni e nel volto. Ma è forse con i Cavaselice (XVIII-XIX secolo), antica famiglia patrizia salernitana che acquistò il feudo di San Mango nel 1688, acquisendo così prima il titolo di Barone e poi di Marchese dello Stato e Terra di Santo Magno et Piedimonte, che il culto verso San Magno prende nuovo vigore. È dell’inizio del 1700 la statua lignea che raffigura il Santo Vescovo, anche se non è difficile supporre che essa ne sostituisca una più antica, andata perduta, alloggiata all’interno della grotta dedicata al Santo e non nella Chiesa di Santa Maria, come si rivela dalle scarse testimonianze.

Diverse sono invece le testimonianze relative alle statue della Madonna e dei Santi Biagio e Antonio Abate e dei relativi altari già esistenti prima del 1700. Si ha notizia della presenza di vari benefici legati alla cappella rupestre che anticamente è detta “Venerabile Cappella del glorioso San Magno” ed è definita “grancia” della Chiesa di Santa Maria a Corte nel centro del paese, come dimostrano alcuni documenti del 1738. Né sono mancati i legati per la Celebrazione di Sante Messe, come rileviamo da una dettagliata “Carta” della Chiesa di Santa Maria a Corte redatta dall’allora parroco Don Santolo Cavallo nel 1724. E come per una normale Chiesa non sono mancate neanche le visite pastorali. In una di queste tenuta da Don Santolo Cavallo nel 1730, si parla
per la prima volta delle reliquie di San Magno. Numerose testimonianze provano l’assidua presenza di persone che, nel corso dei secoli, hanno desiderato raccogliersi in preghiera nel silenzio del piccolo tempio e avvicinarsi alla celeste protezione di un tal santo. La prima notizia si trova nello Stato delle Anime della Chiesa di Santa Maria a Corte redatto nel 1702 dall’allora parroco Don Giovanni Bottiglieri. Furono rilevate le presenze di numerosi eremiti, tra cui ricordiamo Fra Giuseppe Boroneo, Fra Biagio Carbone, Fra Domenico Rescigni, Fra Domenico Ferraro, Frate Giacomo Troncigliano, Pietro Paolo Pastina, Innocenzo Alfieri, Girolamo Coppola e Onorio Nigro di San Mango.

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