Il conflitto civile in Salerno tra le nobili famiglie dei Santomango contro i D’Ajello.

Si riporta di seguito il capitolo in oggetto tratto dal  Bollettino Storico di Salerno e Principato Citra, periodico semestrale di studi storici anno VI – n. 2 – 1988, autore Gaetano D’Ajello.

Il manoscritto Prignano, di cui altrove dicemmo (1), ci ha conservato tra gli altri un eccezionale documento riguardante Salerno e le sue pertinenze agli inizi del XIV secolo.

Questo documento di notevole lunghezza e sostanzialmente inedito (2), che qui si pubblica in Appendice, è di grande interesse non tanto per le circostanze esterne che lo produssero, quanto per il suo contenuto intrinseco: un lunghissimo elenco di persone nobili e meno nobili, cavalieri, notai, dottori in legge, chierici, massari, vassalli e gregari.

Poiché di tutti costoro, a parte la famiglia, è indicata sovente anche il luogo di provenienza, ne scaturisce un quadro tale da costituire un singolare spaccato della società salernitana ai principi del XIV secolo, un periodo per il quale non è molta la documentazione superstite. Molti dei cognomi, qui forse attestati per la prima volta, individuano famiglie che ebbero ruoli notevoli nella successiva storia di Salerno ed alcune ancora oggi continuano ad operare nel tessuto sociale di questa città. Ma a parte l’interesse per l’onomastica salernitana e per la ricostruzione della genealogia dei casati viventi all’epoca, risulta evidente l’utilità per un più generale studio comparativo sulle cognominazioni medioevali.

Nei primi decenni del XIV secolo, soprattutto durante il regno di Roberto d’Angiò (1309-1343) la città di Salerno ed il suo circondario furono sconvolti da sedizioni, sommosse, episodi di violenza e di sangue nell’impotenza della Corona e delle autorità preposte a reprimerli; spesso alla base di tutto questo vi erano faide fra nobili e potenti famiglie locali, che non solo spingevano le loro vendette nelle terre degli avversari, infierendo contro i raccolti, le vigne, le mandrie d’animali e gli uomini ad essi preposti (3), ma penetravano armati anche nelle abitazioni dei rivali, giungendo a compiere atroci delitti perfino all’interno dei luoghi sacri.

Una delle faide che gravò particolarmente sulla città per la nobiltà e potenza delle famiglie che si scontrano, per il rilevante numero di persone direttamente coinvolte nella vicenda, per la vastità del territorio su cui infierì, fu quella che contrappose i Santomango (4) ai d’Ajello (5). Ognuna di queste famiglie mise in campo una comitiva armata di circa quattrocento uomini, che si scontrarono per quattro anni, dal 1334 al 1338, nelle vie della città e nelle campagne circostanti.

Il motivo di questa vera e propria guerra civile fu un episodio che le reticenze dei cronisti contemporanei e le distorsioni o le cattive interpretazioni di quelli che seguirono hanno falsato al punto da renderlo incomprensibile nel ruolo dei nomi e dei personaggi, dei tempi e nel modo in cui effettivamente esso si svolse (6). L’episodio è invece perfettamente ricostruibile soprattutto per ciò che ne dice proprio il Prignano a commento del documento stesso. Egli scrisse in un’epoca in cui gli fu possibile accedere a documenti poi dispersi o distrutti e consultare in particolàre le scritture della famiglia Cavaselice (7), a suo tempo coinvolta nella vicenda.

La scintilla fu dunque accesa nel 1327 dall’abate e chierico Riccardo d’Aiello, che, preso da passione per Bianca di Procida, la rapì il giorno stesso che questa aveva contratto matrimonio con Landolfo Santomango, eclissandosi poi dalla città con la preda.

La guerra che immediatamente si scatenò fra la famiglia dello sposo deluso e quella del rapitore fu totale, violenta ed inarrestabile al punto che i due sindaci della città, quello dei nobili e quello del popolo, supplicarono re Roberto di trovar modo di imporre la pace (8).

A maggiore chiarimento della vicenda va osservato che la qualifica di abate e chierico portata da Riccardo d’Ajello non era allora un titolo che implicava la necessaria appartenenza al ceto ecclesiastico: infatti Riccardo era figlio di Filippo, signore della terra di Macchia, già Ciambellano (1321) e Giustiziere (1326) del re Roberto, in quel periodo Custode del castello di Salerno e signore di Patano in Abruzzo Ultra; lo stesso Riccardo era stato Maestro ciambellano, Consigliere e Familiare di Carlo Illustre ed aveva avuto in dono da questi per i suoi servizi il Castello d’Archi con i casali di S. Martino e di S. Anna in Abruzzo Citra.

All’epoca dei fatti i rapimenti a scopo di matrimonio erano frequenti e praticati in tutti gli strati sociali, vi era anche tutta una legislazione in merito, ma poco efficace a contenere almeno gli eccessi; lo stesso re Roberto aveva emesso i suoi bravi editti tendenti a reprimere gli abusi, ma tutto restava nel consueto giacché magistrati e magistrature si dimostravano incapaci di operare; sicché non deve sembrare intempestivo il provvedimento preso dal re Roberto soltanto a distanza di due anni dall’accaduto, dando ordine nel 1329 al giustiziere di Principato Citra, Giovanni de Flo- riaco di imprigionare il d’Ajello (9).

Certamente furono solo gli eccessi che scaturirono dall’episodio iniziale a muovere il diretto intervento del Re, dal momento che fra parenti, amici e partigiani delle rispettive famiglie, i d’Ajello contrapponevano 334 uomini armati ai 355 che fiancheggiavano i Santomagno. I fatti salienti di questo lungo conflitto civile sono stati stigmatizzati da cronisti contemporanei e scrittori posteriori, ma, mentre la giustizia regia non era in grado di raggiungere il colpevole, lo scontro fra le due fazioni toccò certamente la sua acme con l’uccisione perpetrata nel luglio del 1334 dallo stesso Riccardo d’Ajello e dal fratello Matteo, a danno di due dei fratelli Santomango nel locale convento dei frati minori, presente anche l’arcivescovo di Salerno (10). Il Re nell’agosto successivo potè solo inutilmente bandire dal Regno i colpevoli (11), ma trasferì i benefici già goduti da Riccardo a Pietro di Cadenedo.

Il più profondo detrimento alla città venne però dalla distruzione delle sue risorse agricole, dal blocco delle attività commerciali in generale ed, in particolare, dagli impedimenti sorti a danno della tradizionale Fiera, insomma dal collasso economico oltreché civile e sociale. «La guerra — scrive il Caggese — fu così implacabile, e travolse in modo siffatto la città intera, che i mercanti furono costretti a domandare la moratoria. Impossibile frenare la generale follia fino a quando, sedata alcun poco la tempesta, al Re non parve opportuno un comodo indulto generale»

L’indulto di re Roberto (13) venne infatti nel 1338 e calmò le acque, rappacificando la maggior parte dei contendenti, ma non sedò la profonda inimicizia fra le due famiglie, giacché questa covò sotto la cenere ed armò nel 1350 la mano ignota che raggiunse e trucidò l’abate Riccardo d’Ajello (14), il responsabile di tutti gli avvenimenti narrati.

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NOTE
(1) Gaetano d’AJELLO, Il manoscritto del Prignano e le fonti nello studio della famiglia d’Ajello, in «Bollettino storico di Salerno e Principato Citra», V (1987), 1, pp. 63-75. Il ms., in due voli., è del XVII sec,; si trova nella Biblioteca Angelica di Roma sotto i numeri d’inventario 276 e 277; s’intitola: Delle famiglie nobili salernitane.
(2) Un’edizione del doc., monca ed assolutamente incompleta, è in Matteo CAMERA, Annali, I, 445/46, 1334-1338.
(3) Carlo CARUCCI, Un Comune del nostro Mezzogiorno nel Medio Evo, Subiaco, 1945, p. 217.
(4) I Santomango erano patrizi della città di Salerno, dove erano ascritti al Seggio di Portanova. Fra i più illustri membri del casato, che pure rivestì alti incarichi civili, vi furono Filippo vescovo della diocesi di Capaccio (1312-1336) e Matteo che gli successe (1340-1382) nel governo della stessa diocesi.
(5) I d’Ajello erano d’origine normanna ed ebbero fra i più antichi ed illustri rappresentanti del casato il Gran cancelliere Matteo d’Ajello, che in Salerno ebbe palazzo e fondò la chiesa di S. Maria e l’ospedale -S. Giovanni (1183). Suo figlio Niccolò, morto nel 1221, fu arcivescovo di Salerno ed è sepolto nel Duomo. La famiglia, insignita del titolo comitale era ascritta al Seggio Capuano in Napoli ed al Seggio di Porta Rotese in Salerno. Il ceppo salernitano, che poi ebbe diramazioni fino in Puglia ed in Sicilia, salito in epoca normanna alle più alte cariche civili, religiose e militari, avversò la dinastia sveva, sotto la quale tuttavia non diminuì di prestigio. Parteggiò poi per gli Angioini, che affidarono ai membri del casato incarichi di assoluto rilievo in seno alla feudalità del Regno.
(6) V.: Ms. «Pinto», di anonimo del XVIII sec., dal titolo: Famiglie dei tre Seggi della città di Salerno, in Biblioteca Provinciale di Salerno, cc. 10 e 187; Berardo CANDIDA CONZAGA, Memorie delle Famiglie Nobili delle Provincie Meridionali d’Italia, 1882, voi. VI, p. 163; Luigi STAIBANO, Memorie storiche delle antichissima nobiltà salernitana, raccolte da varii manoscritti e stampe, 1871, ms. in B.N.N., segn. XIV, H. 22, cc. 5 e 6.
(7) PRIGNANO, ms. 276 cit., c. 383, in margine.
(8) Giacinto CARUCCI, Il Masaniello Salernitano nella rivoluzione di Salerno del 1647/48, preceduto da un breve cenno storico di Salerno dalla sua origine sino alla fine del secolo XVI, Salerno, 1908, p. XXXII e nota 1.
(9) PRIGNANO, ms. cit., c. 383.
(10) C. CARUCCI, op. cit., p. 217; ANONIMO, Libro dei Secreti o dell’Inferno, ms. in B.N.N., segn. XX.C. 23.
(11) ARCHIVIO STORICO NAPOLETANO, Repertorio Pergamene d’incerta provenienza, voi. 37, perg. col. n. 1956 bis, a. agosto 1334.
(12) R. CAGGESE, Roberto d’Angiò e i suoi tempi, Firenze, 1922, voi. II, p. 356.
(13) PRIGNANO, ibidem.
(14) CHRONICON SICULUM, incerti authoris, de rebus siculis ab anno 340 ad annum 1396, in forma diarij ex inedito codice ottoboniano vaticano, cura et studio Josephi DE BLASIIS, Neapoli, 1887, p. 14.

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